Ho conosciuto Daniela Ray nel novembre 2011, quando per la prima volta ci siamo incontrati nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano dove era allestita la mia mostra installazione Inter/vallum.

Ricordo che Daniela timidamente mi avvicinò per chiedermi l’autorizzazione a scattare delle fotografie della mia installazione che particolarmente la attraeva. Naturalmente e con piacere acconsentii.

Solo più tardi ebbi modo di scoprire che Daniela Ray era una fotografa affermata e di grande valore. Quando successivamente vidi le immagini da lei realizzate, ne apprezzai l’originalità, la sensibilità e l’elevata professionalità. Avvertivo in esse comunque una poetica, un modo sottile, discreto di accostarsi al reale, di tratteggiarne alcuni dati essenziali, quelli che a lei si facevano presenti in una visione pervasa da distanze, sfocature, dissolvenze fantasmatiche.

L’elemento fantasmatico sembrava incontrare l’evanescenza dei miei Revenants e della loro vita virtuale restituita all’infinito e così misteriosamente dagli specchi. Forse questo diveniva il punto di una consonanza poetica.

Questa era la richiesta di un documento che registrasse fedelmente il rapporto tra la mia opera, la sua collocazione site-specific e i luoghi della storia, in quel transito oltre il tempo, nel misterioso dialogo di assonanze, duplicazioni, rivisitazioni, in quel mutuo corrispondersi di passato e presente.

Credo che Daniela nella sua assidua e appassionata lettura del mio lavoro abbia non solo restituito il senso di un’operazione culturale, ma ne abbia arricchita la suggestione con nuove inedite risultanze.

Roberto Ciaccio